Descrizione

Dalla piazza Sant’Antonio di Borgagne ci si può immettere in via Lecce, così denominata perché da sempre è la via che conduce al capoluogo salentino. All’angolo sinistro con la piazza, dove ora esiste un’abitazione del secondo Novecento, un tempo vi erano alcune case terragne (con il solo piano terra) con il tetto ad embrici, come si possono notare già nel dipinto della Madonna del Rosario che si trova nella chiesa matrice, ma anche in vecchie foto. Da lì ha inizio una costruzione che si estende per diversi metri lungo via Lecce: palazzo Sciurti. Il nome è derivato dalla famiglia che lo ha posseduto all’inizio del Settecento, una famiglia non nobile ma che ha assunto un certo potere politico ed economico in quel periodo.

Il palazzo oggi è diviso tra diversi proprietari e questo non permette, anche a livello visivo, di apprezzarne l’unitarietà. Venne costruito nel Cinquecento, come importante elemento difensivo del paese. A testimonianza di questo suo ruolo è il piombatoio presente sulla porta del frantoio. Oltre il piombatoio, un arco immette in una corte: in essa vediamo i resti di un antico e grande camino, ben lavorato (evidentemente parte di una stanza coperta) e una scalinata. Quest’ultima conduce all’interno della parte comunale del palazzo, dove si aprono due stanze spartane, con le volte originali, che danno ad intendere il ruolo di fortificazione del luogo.

Ritornando su via Lecce, in corrispondenza del piombatoio una porticina guida il visitatore in un ambiente sotterraneo, in un mondo antico, quasi magico. In fondo alla scalinata ci aspetta, infatti, un frantoio.

Il frantoio Sciurti di Borgagne ha due particolarità: è stato riutilizzato in diverse fasi storiche e non è ipogeo, come gran parte di quelli presenti in Salento, bensì semi-ipogeo, tanto che che una finestra a lunetta fa entrare la luce dalla corte. Nel frantoio si possono ancora ammirare: le sciave, le vasche di raccolta delle olive; una grande macina in pietra; i vasi di decantazione in cui l’olio scorreva dopo essere stato spremuto da un torchio di legno (detto alla genovese, non più esistente); macchinari più recenti, che costituiscono la singolare testimonianza di un riutilizzo del frantoio durante il Novecento.

Risalendo la scalinata, ci si immette di nuovo in via Lecce. Vale la pena tornare in piazza per poter ammirare un’altra particolarità di palazzo Sciurti: sulla sommità si erge un grande e ben fatto comignolo, con i fori a scacchiera. Questo tipo di comignoli si può ammirare in due regioni storiche della Puglia: in maniera più diffusa nella cosiddetta Albania tarantina, ovvero in quei paesi della provincia di Taranto che, tra la fine del XV e la prima metà del XVI secolo, hanno accolto intere comunità di albanesi in fuga dalla conquista ottomana delle loro terre natìe (Albania e Grecia) e che oggi mantengono ancora tratti linguistici, tradizioni ed elementi architettonici tipici della cultura cosiddetta arbëreshe, tra i quali, appunto, questi comignoli; in alcuni paesi della Grecìa salentina (Sternatia, Castrignano, Melpignano) che hanno conservato un sostrato linguistico e culturale greco. Il comignolo di Borgagne, insomma, costituisce un indizio sulle influenze culturali di matrice “balcanica” che il paese ha subito nei secoli.