Descrizione

[… segue da Le memorie di un catalano – parte prima ]

Demetrios comprendeva i pescatori di Sant’Andrea e si sapeva far capire da loro. Il mio compagno di Corone, infatti, conosceva due o tre lingue, perché aveva viaggiato diverse volte al di qua e al di là del Canale d’Otranto; per di più, alcuni dei pescatori parlavano un dialetto del luogo che era molto simile al greco. Tramite Demetrios chiesi loro di portarmi nel casale più vicino, ed essi lo fecero di buona lena, con larghi sorrisi. Il casale distava poche miglia dalla spiaggia di Sant’Andrea.

Durante il tragitto, Demetrios non poté frenare la sua curiosità: «Avete parlato di una promessa da mantenere…Posso sapere qual è e perché è così importante?»

«In realtà le promesse sono due, – gli risposi – una vecchia e una nuova. La prima la feci a mia moglie Elionor molto tempo fa, e non te la dirò. La seconda è un voto che ho fatto mentre eravamo in mezzo alle onde ed io temevo di morire. Ho promesso a me stesso e a Dio che, se mi fossi salvato, avrei fatto costruire una chiesa in onore a Sant’Eulalia nel primo casale incontrato».

Demetrios spalancò gli occhi: non poteva credere che lo stessi trascinando in un posto sconosciuto per mettere in piedi una chiesa. Ma lui non mi conosceva abbastanza per capire quella cosa. Non poteva sapere che mia moglie detestava quello che ero diventato da quando mi ero arruolato: un uomo rude, incrudelito dalle guerre, indurito dalle fatiche, che si sveglia di notte per incubi atroci. Durante una festa di Sant’Eulalia di qualche anno prima, guardandomi dritto negli occhi, mi aveva fatto promettere che in uno dei miei viaggi avrei compiuto almeno una buona azione. E agli occhi di Elionor non si può negare niente. Così, in quel 1534, sulle coste di Terra d’Otranto, la mia buona azione sarebbe stata quella: costruire una chiesa a Sant’Eulalia.

Quando arrivai al casale, non ebbi più alcun dubbio: un borgo solitario, con una piccola chiesa madre, un castello di recente costruzione, alcune case-torri e un’abbazia che si affacciava su un grande bosco di lecci: Borgagne. Sì, sarebbe sorta lì la mia chiesa, in un minuscolo angolo di mondo dell’ultima provincia spagnola.

Demetrios mi fece da interprete con le autorità locali, civili e religiose. Essi acconsentirono, ma ad una sola condizione: non avrei dovuto imporre loro la mia fede cattolica e la chiesa sarebbe dovuta essere di rito greco. Scoprii, infatti, che tutta la zona aveva mantenuto quella tradizione, da tempi antichissimi, e che, nonostante le pressioni delle alte gerarchie cattoliche, non c’era stato verso di estirpare da lì il rito greco. Non mi sembrò una richiesta assurda o blasfema, per cui accettai. In poco tempo e con l’aiuto di tutti, la chiesa di Sant’Eulalia venne su, piccola ma graziosa, con la sua cupoletta e i santi affrescati sulle pareti.

Durante i lavori ci si avvicino uno dei contadini di Borgagne. «Da dove venite?» ci chiese. Gli risposi che avevamo combattuto a Corone; Demetrios aggiunse: «Il signore è spagnolo, io invece sono originario di Himara, ma da qualche anno mi ero trasferito a Corone con altri concittadini».

A udire ciò, il contadino si illuminò: «Himara? Ma allora forse conoscete mio fratello! Si chiama Andrea Stefanachi!». Demetrios ci rifletté un momento, poi i suoi occhi si accesero: «Come no! Andrea l’otrantino. Così lo chiamano lì. L’ho conosciuto un po’ di anni fa ad Himara, quando arrivò portato dai turchi. Non ci crederai, ma l’ho incontrato di recente in uno dei miei viaggi, precisamente a Giannina, che è un’altra città della Grecia».

Il contadino non poteva crederci: «Vi prego, raccontate. Che fa, come sta?»

«Mi è sembrato ben messo. In quanto al mestiere che fa, non ne sono sicuro. Lui mi ha detto una cosa, ma io ne credo un’altra».

Il contadino si grattò la testa e disse: «Signore, perdonate. Potete essere più chiaro? Io non ne capisco molto di queste cose».

«Vedi, tuo fratello mi disse di essere lì a Giannina per affari. È vero, Giannina è una città di passaggio e ci sono molti mercanti. Ma Andrea non mi sembrava affatto vestito come un mercante. In più, mentre parlavamo ruotava continuamente il capo per guardarsi intorno e mi lasciò andare molto presto. Mi sembrò un atteggiamento strano: non ci vedevamo da anni, speravo che andassimo almeno a bere qualcosa insieme. Poi credo di aver capito. Andrea era solo di passaggio da Giannina, diretto verso altri luoghi. Altro che mercante, tuo fratello viaggia leggero».

«No, signore, vi prego, non ci sto capendo niente».

Demetrios guardò con un po’ di compassione il contadino: «Quello che voglio dirti è che, secondo me, tuo fratello Andrea è una spia, uno di quelli mandati dal governatore di terra d’Otranto a Costantinopoli per vedere che fa il Turco, se organizza spedizioni fin qui o se prepara altri tipi di guerre».

«Possibile? Mio fratello?»

«Non ti meravigliare. Nei miei viaggi ho incontrato diversi uomini, otrantini, greci e albanesi, che facevano le spie contro i turchi, coperti e aiutati dalle popolazioni locali. E hanno tutti lo stesso fare attento e sospettoso di tuo fratello».

Il contadino strinse le mani a me e a Demetrios senza aggiungere una parola. Credo che in lui si agitasse un misto di gioia, incredulità, preoccupazione. Mentre andava via, lo sentimmo ripetere a sé stesso, a bassa voce: «Mio fratello, una spia…».

Quando la chiesa venne ultimata, decisi che non avevo più molto da fare in quel luogo, sebbene l’accoglienza dei locali mi tentasse a restare ancora un po’. Giunse l’ora di partire e di tornare nella mia Barcellona e dalla mia Elionor. Quando comunicai il proposito di partire a Demetrios, lo vidi incerto; gli chiesi che cosa non andava. «Non verrò con voi, signore – mi disse secco – .Qui starò bene, questi uomini non sono molto diversi da me: preghiamo lo stesso Dio e nella stessa maniera. Ora che non posso più tornare a Corone, credo che rimarrò qui, comprerò alcune pecore e mi sistemerò. Addio, signore».

Riuscii solo a dirgli: “Addio, Demetrios”; invece avrei dovuto aggiungere: “Grazie di avermi salvato la vita e di avermi assecondato in questa piccola follia. Che il Signore ti protegga”. Ma non sono mai stato bravo con queste cose.

Così terminò quella breve esperienza, quella parentesi di serenità. Oggi, a distanza di tanti anni e dopo aver servito l’impero degli Asburgo in molte altre guerre per tutto il Mediterraneo, penso ancora alla mia chiesetta di Sant’Eulalia, a Borgagne, e ricordo a me stesso che forse ho anche fatto qualcosa di buono in questa tremenda vita da soldato.

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Agli inizi del Seicento si raccontava che la chiesetta di Sant’Eulalia a Borgagne fosse stata costruita da uno spagnolo che, naufrago, aveva fatto voto di edificare alla Santa un luogo sacro nel primo casale incontrato, se fosse riuscito a salvarsi. Oggi quella chiesa non esiste più, ma uno stemma ancora visibile ce ne ricorda la storia. Per maggiori informazioni, vedi Lo stemma di Sant’Eulalia

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