Descrizione
«Zaccaria, raccontami qualche culacchio».
«Vuoi una bella storia?» chiese Zaccaria.
«Sì, sì, culacchi, storielle, chiamali come vuoi!» disse Stefano, il più giovane dei due. Era ormai passata la mezzanotte e Zaccaria e Stefano scrutavano il mare dalla torre, durante il loro turno di guardia. Spesso si raccontavano dei “culacchi” per non addormentarsi.
«Quella delle due sorelle la conosci?».
«Santa miseria, Zaccaria, la conoscono pure le pietre! Un’altra, dai!»
«Va bene, un’altra. Me la raccontò un monaco greco tanto tempo fa.
Ad un banchetto ci sono due uomini che parlano tra di loro, proprio come me e te. Gli passa vicino uno tutto ben vestito e vanitoso, e allora uno dei due dice all’altro: “Lo riconosci quello lì, che si crede l’imperatore in persona? Neanche un mese fa era così povero che faceva fatica anche a procurarsi la legna per il fuoco. Eppure tutto d’un tratto si è fatto ricco come un re. Sai come? Una notte lo ha visitato un Incubone”…»
«Un Incubone? E che cos’è?» lo interruppe Stefano, incuriosito.
«Aspetta, mo vedi. Insomma, quest’uomo dice al suo compagno di banchetto che quel riccone, quando ancora era povero, è stato visitato di notte da un Incubone, una specie di spiritello, un demone, o che ne so io. Appena lo ha visto, lì davanti a sé, il poveraccio ancora morto di sonno gli ha strappato il cappello. L’Incubone ha cominciato a piangere e strillare, che voleva il suo cappelluzzo, ma quello neanche per sogno! Allora l’Incubone ha promesso al poveraccio ricchezze su ricchezze, e per questo è diventato ricco come un pascià turco».
«E poi gli ha restituito il cappello?» chiese Stefano a Zaccaria, grattandosi il capo.
«È la stessa domanda che feci io al monaco che mi ha raccontato la storia. La risposta è stata questa: mai ridargli il cappello, altrimenti l’Incubone si riprende tutte le ricchezze che ti ha dato, e ritorni povero più di prima».
Stefano rimase un po’ in silenzio, a guardare la luna. C’era una luna enorme quella sera a rischiarare la pietra bianca della torre dell’Orso. Sembrava così grande e pesante che poteva cadere in mare da un momento all’altro, come staccandosi da un filo invisibile che la teneva sospesa nel cielo nero.
Stefano si ridestò da quel silenzio: «Sai, mia nonna mi raccontava una storia molto simile, solo che lo spiritello si chiamava diversamente, la nonna diceva “lu Scazzamurieddhu”. Però più o meno era uguale: ti sveglia di notte, saltandoti sulla pancia e se gli rubi il cappello ti riempie d’oro, ti fa trovare un tesoro sepolto, un’ “acchiatura”. Il monaco greco come l’ha saputa?»
«Mi disse che l’aveva letta in un libro di un autore antico. Mi avrà detto il nome, ma che vuoi che mi ricordi io?»
«E certo che non te lo ricordi: non solo sei ignorante come un caprone, ma stai invecchiando pure velocemente!» scherzò Stefano. Zaccaria cercò di colpirlo alla nuca con uno scappellotto, ma il giovane fu più rapido a schivarlo.
Proprio mentre si alzava per evitare lo schiaffo dell’altra guardia, Stefano con un rapido sguardo vide qualcosa affiorare dal mare proprio sotto la torre, tra gli scogli, e subito allarmò Zaccaria. I due misero mano all’archibugio e Zaccaria chiese a gran voce: «Chi è là? Parla o sparo!»
Dall’acqua placida si palesò una piccola imbarcazione, con un vecchio che sembrava messo maluccio. «Zaccaria, ti sembro un turco io, che mi vuoi sparare? Giovanni Malatesta sono!»
«Malatesta di nome e di fatto» ribatté Stefano, ridendo. Questa volta la mano di Zaccaria lo raggiunse con un sonoro scappellotto: «Porta rispetto per gli anziani, ragazzo». Poi si rivolse al vecchio Malatesta: «Sali, Giovanni, così ci racconti pure tu qualche culacchio».
Racconto di Alberto Rescio