Descrizione
Quando le guardie della città diedero l’allarme, era troppo tardi. Ci svegliammo di soprassalto e, storditi ed infreddoliti, ci apprestammo a lasciare velocemente la nostra capanna. Non era la prima volta che venivamo attaccati dal mare, quello stesso mare da cui provenivano fortune e sciagure, pesci e tempesta, ricche mercanzie e spade straniere. I miei cinque figli, pur così giovani, erano abituati a svegliarsi di soprassalto e ad essere pronti a mettersi in salvo in ogni occasione. Mio marito spinse fuori i tre più grandi; degli altri due, di 5 e 2 anni, il maggiore se lo prese in braccio lui e l’altro lo affidò a me. Quando emergemmo dalla capanna, la situazione era già degenerata: uomini in armature bronzee erano sbarcati sulla penisola e le nostre guardie li affrontavano, cercando di contenere la loro furia. Intorno a noi era tutto un urlare e uno sciamare di amici e parenti, che si dirigevano disperatamente verso le mura della città. Così facemmo pure noi. Con il mio bimbo in braccio mi volsi verso le grandi mura e cominciai a correre; davanti a me c’erano i miei figli adolescenti, i più veloci di tutti, e sentivo dietro, ad un passo, mio marito con l’altro bimbo. Per casi come questi avevamo già un piano: dirigerci tutti verso uno dei passaggi nelle mura, dove poterci nascondere. D’un tratto non vidi più i tre figli più grandi, ormai vicini alla fortificazione; un attimo dopo, nella calca, tra urla terribili degli abitanti del luogo, mi dovetti arrestare di colpo: un guerriero nemico – non avrà avuto più di vent’anni – veniva minaccioso verso di me. Mio marito gli si parò davanti e con un bastone lo minacciava, mentre il giovane sfoderava la sua corta spada di bronzo, un’arma che avevamo visto altre volte, maneggiata dai mercanti che venivano dal mare Egeo. Nella colluttazione, mio marito inciampò e cadde per terra ed io pensai già che fosse finita per noi, mentre i nostri due bimbi si stringevano alle mie gambe. Invece, dalle mura, giunse una freccia rapida e violenta, come le raffiche di vento del nord, e si conficcò nel collo del giovane straniero. La sua pelle scura si cosparse orribilmente di sangue, mentre cadeva esanime a terra.
Dunque proseguimmo: eravamo ormai sotto le gigantesche mura. Immaginate pareti che si elevano fino al cielo, spesse quasi 70 piedi, protette all’esterno da un fossato e ricche di passaggi, cunicoli e fenditure. Senza guardare in direzione della porta principale, opera di mani eroiche, raggiungemmo una delle aperture nelle mura, dove trovammo i figli più grandi. Con mio marito ci affrettammo a chiuderci dentro, sbarrando il passaggio con tutto ciò che potevamo trovare: pietre, anfore e vasi di ogni sorta. Ci sedemmo per terra, esausti.
Mentre eravamo lì, con le orecchie tese per captare ogni rumore, mi venne in mente che quella fortificazione in cui ci eravamo asserragliati era stata costruita tanto tempo prima e i nostri antenati non avrebbero mai potuto realizzarla, senza l’aiuto di un popolo straniero venuto dal mare orientale. Le storie narravano di una civiltà molto più evoluta di noi, di mercanti, scienziati e navigatori, che abitava nella parte più orientale del Mediterraneo, su una grande isola: avevamo aperto loro la via commerciale per l’Occidente, in cambio della loro scienza. Ed ora un altro popolo di quelle terre era lì, a quattro passi, pronto a porre fine alla nostra esistenza.
In quel cunicolo buio, soggiogati dalla paura, avevamo solo una flebile speranza: che il nemico venisse respinto. Mio marito spiava da un foro, tra le pietre e i cocci, per vedere cosa succedeva in città. Poi mi guardò terrorizzato e, a bassa voce, perché non lo sentissero gli altri, mi disse: «Fiamme, tutto è in fiamme».
Sentimmo intorno a noi grida spaventose e colpi e il crepitare del fuoco. Prima che potessimo fare qualcosa, il cunicolo si riempì di fumo e mio marito mi guardò in lacrime. Sentivamo mancarci il fiato e ci prese una tosse convulsa. Mi stesi al suolo, portando la mano alla bocca, mentre con l’altra cercavo di coprire i bimbi più piccoli. L’ultima cosa che ricordo è che il maggiore dei miei figli si alzò in piedi, forse per cercare di scappare, ma cadde riverso su tutti noi, senza respiro. Poi, il buio.
Alberto Rescio
Questo racconto è ispirato a una storia vera. Gli scavi archeologici di Roca Vecchia hanno restituito, tra le tante cose, i corpi di sette persone posti in uno stesso punto, nella postierla C delle mura monumentali del Bronzo Medio. La loro storia è legata ad un assedio della città avvenuto agli inizi del XIV sec. a. C.
Foto: Scarano T., L’assedio di Roca. Il volto della guerra , in Archeologia Viva 2016, p. 48 . Illustrazione di Karol Schauer.