Descrizione

Un excursus tra pellegrinaggi, feste patronali, processioni e riti del territorio di Melendugno

Feste patronali, processioni e riti: sono tutte manifestazioni del forte attaccamento religioso che a Sud, e in particolare nel Salento, è estremamente radicato. Non fa eccezione il territorio di Melendugno che, componendosi di tante località diverse, può contare su una moltitudine di pellegrinaggi per quasi tutto l’anno. Scopri con questo itinerario le tappe fondamentali della devozione popolare.

1. Da Borgagne a Roca Nuova: in processione per San Vito

La prima tappa del nostro itinerario coinvolge il culto per un santo legato al mondo contadino: San Vito. Cercheremo di ripercorrere i sentieri e i motivi che hanno portato gli abitanti di Melendugno e Borgagne a raggiungere in pellegrinaggio la chiesa di San Vito nel villaggio di Roca Nuova.

Il culto di San Vito trova origine nel periodo medievale, quando il santo veniva invocato da parte di quegli ammalati che soffrivano di spasmi muscolari, contrazioni e movimenti involontari che si manifestavano andando da uno stato di lieve irrequietezza ad un’agitazione motoria più accentuata.

Nell’immaginario dell’epoca, il fatto che il santo fosse anche protettore dei danzatori e che questa malattia costringesse ad un movimento continuo così intenso da impedire la deambulazione e la postura eretta, hanno fatto sì che il disturbo divenisse noto come “Ballo di San Vito”.

Curiosamente questo infausto “ballo” trova un punto di contatto nel fenomeno del tarantismo, sebbene l’origine di quest’ultimo sia legata al morso velenoso della tarantola: il veleno iniettato provocava stati di forte isteria, agitazione psichica con emicranie e difficoltà motoria che secondo la credenza popolare potevano essere alleviati soltanto con questo antidoto: musica e ballo.

La Taranta e la sua variante religiosa del Ballo di San Vito sono diventate col tempo delle danze popolari che hanno continuato a tramandarsi nella superstizione e nella tradizione senza che alla base ci fosse un vero motivo di salute, celebrate più per esorcizzare e rievocare il mito che per guarire, sino ad essere rappresentate in momenti di festa.

Nonostante questo, nella Chiesa di San Vito a Roca Nuova il santo viene raffigurato secondo un’altra iconografia diffusa e legata al mondo contadino, quella che lo vede accompagnato ad un cane, poiché San Vito veglia sugli animali e protegge dai loro attacchi. Questo è il vero motivo del pellegrinaggio verso Roca Nuova.

Nell’unica liturgia celebrata durante l’anno, il 15 Giugno, si continuano infatti a portare a benedire gli animali: la tradizione antica, ora non più praticata, prevedeva un percorso in processione a piedi per le antiche stradine e sentieri di campagna partendo da Borgagne.

Un’importante testimonianza della radicazione di questo rito nei secoli è presente proprio nella Chiesa della Presentazione del Signore di Borgagne, dove un quadro seicentesco rappresenta gli abitanti in pellegrinaggio verso il villaggio medievale di Roca Nuova, riconoscibile dalle casupole e dalla sua torre-castello.

Quindi possiamo notare come la venerazione di questo culto si ricollega bene con la storia dell’insediamento più antico del territorio melendugnese: Roca. La città costiera di Roca Vecchia infatti venne distrutta in seguito agli attacchi dei Turchi in Terra d’Otranto alla fine del XV secolo, così il governo locale fondò un nuovo abitato nell’entroterra dove far trasferire la popolazione sfollata: Roca Nuova.

Scopri i segreti di Roca Vecchia nell’itinerario archeologico

Roca Nuova era stata concepita come una piccola fortezza, che aveva al centro l’imponente torre difensiva, simbolo del potere amministrativo e militare, e tutt’intorno le abitazioni, le locande, il trappeto (il frantoio) e una zona destinata alla coltivazione e allevamento.

Ma come in ogni villaggio che si rispetti era prevista l’immancabile area dedicata al culto religioso che qui, come detto, si componeva di un monastero ormai andato distrutto e di una Chiesa, quella sì resistita sino ad oggi, in onore di San Vito.

L’antica architrave di ingresso, ora conservata nella sede del municipio di Melendugno, riporta incisa la data 1589, indice che la costruzione dell’edificio si è svolta nel XVI secolo.

La chiesa, che è stata completamente restaurata in occasione del recupero dell’intero borgo, esternamente è molto semplice, con poche decorazioni se non per il campanile a vela e per la linea della facciata che si inarca in cima.

All’interno è ad una sola navata ma ha una cappelletta laterale sulla sinistra in cui è affrescata la Vergine di Roca che rappresenta simbolicamente il legame con la città vecchia distrutta, nella quale veniva venerata.

Data festiva di San Vito: 15 Giugno

2. Madonna di Roca Vecchia: i pellegrinaggi verso la Chiesa Santuario

Anche la seconda tappa è legata alla vicenda dell’assedio e distruzione di Roca Vecchia. Infatti parliamo dei festeggiamenti dedicati alla Vergine della Misericordia per la quale venne realizzata in un primo momento (1656) una cripta in memoria dei martiri, su cui in seguito (1690) fu costruita una chiesa santuario proprio alle porte dell’antica città una volta che il territorio fu riconquistato.

Questa chiesa è diventata sin da subito meta di pellegrinaggio da parte di quelle popolazioni le cui famiglie di origine furono costrette a scappare spargendosi nei centri vicini per trovare rifugio durante l’invasione dei turchi.

Proprio per questo motivo, la tradizione della processione verso il santuario  per omaggiare la Madonna delle Grazie è presente in diverse località limitrofe e non soltanto a Melendugno: la ritroviamo infatti a Borgagne, a Calimera e anche a Vernole.

Ulteriore conferma risiede peraltro nella testimonianza che all’interno della chiesa, oltre all’altare principale in pietra leccese dedicato alla Vergine Maria, fosse presente un secondo altare poi demolito dedicato a San Brizio e a Sant’Antonio, rispettivamente l’uno patrono di Calimera e l’altro di Borgagne.

La chiesa è molto minuta ma riesce a inglobare tre piccole navate scandite da una serie di tre coppie di colonne. In fondo, l’altare a parete in pietra leccese è sapientemente decorato secondo lo stile barocco con volute e girali arricchito da un rosone centrale in cui è incastonata l’immagine del volto della Madonna.

La stessa è rappresentata con una statua dipinta posta accanto all’altare ma poi portata in processione nei giorni di festa. Esternamente invece la facciata della chiesa è molto semplice, ma c’è una ragione: doveva mimetizzarsi infatti tra le abitazioni comuni per non essere individuata e saccheggiata da eventuali invasori non cristiani.

Un altro omaggio, ad ulteriore conferma dell’enorme culto, è la colonna votiva dedicata alla Madonna di Roca innalzata negli anni ’60 proprio di fronte alla chiesa, nei pressi della celebre Grotta della Poesia piccola. Infine un’altra statua simile, scolpita nella pietra naturale, è stata posizionata nelle vicinanze in una piccola cavità costiera accessibile solo a piedi.

Ognuna delle località indicate in precedenza svolge dunque, secondo un calendario rigoroso, la sua giornata di pellegrinaggio dal proprio centro verso il santuario di Roca per rendere omaggio alla Madonna delle Grazie. Poi a Roca Li Posti, il centro turistico nei pressi di Roca Vecchia, si effettua anche una processione trasportando la statua della Vergine per le vie del paese.

Date festive Madonna di Roca:
– ultimo sabato di aprile per Vernole
– primo sabato di maggio per Calimera
– secondo sabato di maggio per Melendugno
– terzo sabato di maggio per Borgagne

3. Tradizione religiosa in contrada San Biagio: la cripta-chiesa, cuneddhre e croci greche

Spostiamoci lungo il confine territoriale tra Melendugno e la vicina Calimera. Nei pressi della zona delle antiche foreste Oritane, di cui è rimasta solo una piccola porzione in seguito alla bonifica cinquecentesca effettuata dai contadini locali, sono presenti una serie di strutture cultuali smistate nell’aperta campagna attorno all’attuale Masseria San Biagio.

Scopri i luoghi di culto in contrada San Biagio

Per spiegare il motivo per cui in alcune zone apparentemente non frequentate sono sorti luoghi di culto, bisogna ricordare come si svolgeva la vita in antichità, soprattutto qui al Sud: la società aveva un’economia basata essenzialmente sull’agricoltura e l’allevamento, dunque contadini e braccianti si ritrovavano insieme alle proprie famiglie a passare gran parte della giornata in spazi aperti distanti dal centro abitato e quindi lontani anche dalle chiese dove si celebrava la messa.

L’intimità religiosa era vissuta molto intensamente tanto che si aveva la necessità di fermarsi in preghiera alle ore prestabilite ma allo stesso tempo non si poteva abbandonare il luogo di lavoro. Per assecondare questa esigenza, ma anche come rito propiziatorio per assicurarsi un buon raccolto, ecco che la gente costruisce dei monumenti in onore del Santo per cui ha fatto voto di devozione.

Il culto di San Biagio nasce proprio per questo: in questo caso la contrada era frequentata dai carbonai, principale occupazione del territorio per decenni grazie alla presenza di un folto bosco. Il santo, generalmente venerato nel Salento anche come protettore della gola, viene qui associato a questi lavoratori. Alcune associazioni locali preservano la tradizione celebrandolo con l’allestimento di una piccola focara nei pressi di Calimera.

Il carbonaio nell’itinerario mestieri antichi

Il Santo è venerato in una cripta bizantina, scavata nel terreno forse intorno all’anno 1000, dove si può ammirare un affresco dei Santi Vescovi, tra cui proprio San Biagio. Questo luogo è stato per molto tempo meta di pellegrinaggio tanto che, lungo gli antichi percorsi dove si incamminavano religiosi e fedeli, dovevano esserci svariate edicole cultuali dette cuneddhre”, dal greco icone votive, come quella seicentesca di S. Lucia nei pressi della cripta.

Data festiva San Biagio: 3 Febbraio

4. Il culto di San Niceta il Goto: il patrono di Melendugno e la sua Abbazia

La quarta tappa del nostro itinerario si svolge a Melendugno e riguarda il santo patrono. San Niceta è stato un martire goto, ma prima fu un nobile guerriero che si convertì al cristianesimo rifiutandosi di tornare al paganesimo, motivo per cui fu arso vivo dal sovrano pagano Atanarico nel 370. Il suo culto ha origini greco bizantine ed è stato diffuso qui nel territorio dai monaci basiliani i quali realizzarono una cripta rupestre in suo onore appena fuori dal centro abitato di Melendugno, proprio dove poi nel 1167 è stata costruita l’attuale abbazia.

Di stile romanico, presenta una facciata a capanna molto semplice, ma all’interno conserva dei preziosi affreschi bizantini. I soggetti raffigurati sono altri santi legati al mondo contadino: nelle nicchie a volta si possono ammirare le effigi di San Vito e Sant’Antonio, oltre alla Madonna col Bambino.

Il culto di San Niceta è molto sentito, infatti gli sono dedicati due giorni di festa. Per un periodo è stata presente la tradizione di andare in pellegrinaggio da e verso l’abbazia, ma ormai è caduta in disuso. Attualmente si preferisce svolgere la grande processione per le vie del paese trasportando la statua equestre dipinta che si trova nella Chiesa di S.M. Assunta di Melendugno. Inoltre è qui che sono conservate le sue reliquie dal 1882, quando vi trasferirono il braccio sinistro.

Scopri di più sulla Chiesa matrice di Melendugno nell’itinerario architettonico

Date festive San Niceta a Melendugno: 15 e 16 Settembre

5. San Foca: un porto, un santo

La leggenda vuole che alcuni marinai ritrovandosi col mare in burrasca riescano a salvarsi da un probabile naufragio deviando verso le spiagge melendugnesi e per questo erigono una cappella dedicata al Santo che poi darà il nome a questa località: l’attuale San Foca.

Certo è più probabile che questi “semplici marinai” provenienti da Sinope in Turchia, di cui Santu Fucà martire era vescovo all’inizio del III secolo d.C., fossero in realtà dei monaci bizantini che, spinti lontano dalla loro terra a causa delle lotte iconoclaste, predicavano e diffondevano il proprio rito nel solco della tradizione basiliana, come accaduto per San Niceta a Melendugno.

Foca di Sinope era un ortolano, generoso verso i più bisognosi, apprezzato da tutti e molto in vista nella comunità di cui faceva parte anche per via delle sue convincenti prediche. Si dice che fosse vescovo, anche se non come lo intendiamo oggi; infatti la religione cristiana aveva da poco iniziato a diffondersi nel periodo in cui è vissuto. E proprio per la sua appartenenza religiosa, che in quel momento era malvista dai romani, è stato perseguito e martirizzato per non aver rinnegato la propria fede.

Tra il V e il VII secolo iniziano a diffondersi fuori da Sinope le reliquie del martire, tra cui quelle conservate in una teca nella Chiesa di San Foca. Si pensa dunque che proprio in questo periodo sia stata costruita la prima cappella rupestre che ha resistito almeno sino al 1480,  quando venne incendiata e distrutta negli assalti turchi.

Viene ricostruita una prima volta nel Seicento ma, poiché versava in pessime condizioni, è stata prima interdetta nell’Ottocento e poi abbattuta per lo stesso motivo. Viene dunque ricostruita per una seconda volta nel 1963 nella versione attualmente visibile nei pressi della Torre di guardia costiera con la facciata rivolta verso il mare.

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La chiesa, edificata con uno stile moderno che riprende le forme a capanna imitando uno stile romanico, conserva la statua lignea del santo patrono che viene rappresentato insieme a elementi del mare (àncora e onde sotto i piedi) e con un serpente in mano, in qualità di protettore dei marinai in pericolo, dei pescatori, degli agricoltori e invocato contro i morsi dei serpenti.

Tra tutte le feste patronali sin qui descritte è forse quella più scenografica: persiste ancora infatti l’usanza della processione in mare, dove con delle piccole imbarcazioni si trasporta la statua di San Foca; lo accompagnano poi i giochi di luce dei fuochi d’artificio che, riflessi sull’acqua, affascinano i tanti turisti e riempiono di orgoglio i fedeli del luogo.

Date festive San Foca: 18 e 19 Agosto