Descrizione

Viaggio alla scoperta del tessuto architettonico del Comune di Melendugno

Per chi fosse interessato a conoscere le principali espressioni costruttive di un determinato periodo storico nel territorio di Melendugno, proponiamo il seguente itinerario: un percorso tematico che si svolge attraversando le differenti epoche per incontrare quei monumenti architettonici che, dai principali luoghi di culto agli edifici simbolo del potere amministrativo e militare, hanno avuto nel corso dei secoli un ruolo significativo o sono stati un punto di riferimento per la comunità.

 

 

1) Abbazia di San Niceta a Melendugno – medioevo

Come prima tappa di questo itinerario per epoche non si può non iniziare dal medioevo. Nel Comune di Melendugno sono purtroppo poche le evidenze architettoniche medioevali che hanno resistito sino ai giorni nostri alle vicende del tempo, alle distruzioni o ai rifacimenti avvenuti tra rinascimento e ottocento.

Gli edifici che sono rimasti però hanno conservato un patrimonio e una memoria che riassumono adeguatamente quel periodo di cui sono testimoni.

In realtà, in riferimento a Melendugno, stiamo parlando di un solo monumento simbolo, l’Abbazia di San Niceta, poiché non possiamo qui considerare come tali tutte le numerose grotte scavate artificialmente nella roccia costiera dai monaci basiliani nell’età bizantina.

Scopri quali sono le principali grotte costiere del territorio nell’itinerario

Ma è sempre grazie ai monaci basiliani che si è sviluppata una comunità religiosa che ha portato alla costruzione nel 1167 di un complesso monastico, che comprendeva questa abbazia, in un’area appena fuori dall’attuale abitato di Melendugno. Tra XI e XII secolo era stata realizzata inizialmente una cripta dove poter esercitare il culto di San Niceta il Goto e la diffusione di questa pratica ha fatto si che diventasse il Santo Patrono di Melendugno.

Altro su San Niceta e gli altri culti nell’itinerario pellegrinaggi

Dell’antico impianto monastico oggi rimane dunque soltanto l’attuale abbazia, più volte restaurata nel corso degli anni. La struttura ha una facciata a capanna molto semplice, di stile romanico, con un solo portale di ingresso sopra il quale è stata aggiunta un’arcata e, più in alto, una singola apertura.

All’interno invece il visitatore viene accolto da un’ampia sala rettangolare coperta a volta e scandita ai lati da una serie di tre nicchie ad arco, risultato di un rifacimento gotico del XIV secolo, che conservano e mettono in risalto dei preziosi affreschi bizantini e quattrocenteschi che raffigurano alcuni dei Santi legati al mondo contadino: si possono ammirare infatti i colori accesi delle effigi di San Vito e Sant’Antonio.

In fondo alla chiesa inoltre, sulla parete alle spalle dell’altare, si è conservato un affresco del 1563 della Madonna col bambino e scene della Crocifissione.

La chiesetta però non ha visto soltanto modifiche di stile o la sovrapposizione di decorazioni, ma ha avuto anche delle trasformazioni strutturali: originariamente la copertura doveva essere a tetto, forse in legno, e l’ambiente interno era più largo; nel XIV secolo è stata costruita la copertura a volta a botte che ha determinato la realizzazione di pilastri per sorreggerla tramite una muratura aggiuntiva interna addossata a quella preesistente, riducendo di conseguenza i volumi degli ambienti della chiesa.

L’abbazia può essere facilmente raggiunta in auto, in bici o a piedi dall’abitato di Melendugno, attraversando la provinciale SP145 per dirigersi verso l’area cimiteriale nelle campagne a est. L’edificio monastico si può osservare esternamente senza particolari impedimenti o limiti di accesso ma internamente è visitabile solo su richiesta.

In alternativa bisogna approfittarne quando viene aperto regolarmente per officiare le liturgie e per celebrare alcune delle messe mattutine in occasione della festa patronale di San Niceta, anche se attualmente la vera sede del Santo Patrono è diventata la chiesa matrice di Santa Assunta nel centro storico di Melendugno.

2) Castello Petraroli Borgagne

L’altra costruzione sorta nel MedioEvo nel territorio di Melendugno, e forse anche poco conosciuta rispetto alle altre tappe dell’itinerario, è il castello di Borgagne. Il complesso, nel corso degli anni coperto e circondato dalle varie espansioni edilizie del piccolo centro, attualmente è quasi nascosto ed è difficile immaginare la sua iniziale funzione difensiva, evidenziata dal collocamento ad est del nucleo originario di Borgagne, allo scopo quindi di scorgere con efficacia tutte le minacce provenienti dal mare.

Le difficoltà nell’analisi del Castello di Borgagne, sviluppato a pianta quadrata con cortile centrale, aumentano anche perché il monumento ha subito varie trasformazioni ad opera dei diversi privati proprietari. Negli anni, una parte del castello è stata anche adibita a frantoio oleario, rendendo difficile la conservazione degli ambienti.

La funzione difensiva del Castello Petraroli è deducibile anche dalla sua pianta rettangolare, sorta partendo dallo spigolo nord-est inglobando una precedente torre. L’innalzamento avvenne nel 1498: un’epigrafe posta sotto lo scudo gentilizio dei Petraroli sul versante ovest rivela l’origine.

L’iscrizione racconta anche che Borgagne, prima di allora, era priva di qualsiasi struttura difensiva e l’opera dei Petraroli, iniziata con la torre, proseguì con il castello, che di certo non ebbe una sorte felice al pari dei signori di  Borgagne, spogliati dei loro beni feudali per aver aderito ad una congiura anti-spagnola.

La presenza del castello, e anche il probabile ritorno dei Petraroli nelle grazie dei sovrani con conseguente reintegro delle proprietà, fu attestata nel 1601: il feudo di Borgagne, con menzione sintetica ma adeguata dal punto di vista storico, fu venduto dai Petraroli al medico leccese Vincenzo Maria Zimara, che quindici anni dopo lo cedette al genovese Giovanni Battista Spinola. Nel 1616, al contrario del precedente atto di vendita, si contrappone una minuziosa descrizione di tutti gli ambienti in parte rinvenibili ancora oggi.

Pertinente al castello è la piccola cappella, collocata di fronte all’ingresso, della Madonna del Rosario.

3) Palazzo Baronale D’Amelj

La terza tappa dell’Itinerario Architettonico ci porta nell’epoca tardo-cinquecentesca con la visita al Palazzo Baronale d’Amely. Questo edificio è collocato in una zona molto viva di Melendugno affiancato dalla sede storica del Comune, dal frequentatissimo mercato e a pochi passi dalla Chiesa Madre e dalla Piazza principale.

Nel linguaggio popolare dei melendugnesi è da sempre conosciuto come “Castello d’Amely”, anche se sarebbe corretto denominarlo Torre. La sua origine, infatti, risale a ragioni difensive, con un’architettura poligonale a pianta stellare. Fu proprio un architetto militare, appunto, a progettarla, Gian Giacomo dell’Acaya su commissione dell’allora barone di Melendugno e Lizzanello Pompeo Paladini.

Com’è tipico delle strutture militari, la torre era circondata da un fossato e munita di un ponte levatoio, del quale oggi non c’è traccia. Non era inglobata nella cerchia muraria medievale che proteggeva il paese, ma rimaneva in posizione decentrata, poiché l’espansione di Melendugno nel ‘500 si svolgeva sulle strade che portavano ai vicini centri urbani di Roca e Borgagne. Interessante il fatto che esistano soltanto tre esempi di torri simili, dislocate in varie zone della Puglia.

Altre curiose somiglianze, seppur smussate dalla piccola dimensione del Castello D’Amelj, rimandano a Castel Sant’Elmo di Napoli e alla cittadina di Malta, ossia i torrioni “a pinza” che s’affacciavano di più sul panorama e lasciavano lo spazio per bersagliare il nemico. Queste similitudini potrebbero spiegarsi con il fatto che tali aree ricadevano sotto la corona degli Asburgo; in particolare il castello fu costruito alla vigilia del Regno di Carlo V.

Nella storia questo edificio ha poi subito importanti cambiamenti, soprattutto con il venir meno dell’originaria esigenza difensiva. Sono stati aggiunti ulteriori ambienti, alcuni destinati al deposito di viveri, altri con funzione di stalle; il ponte levatoio è stato sostituito da uno in muratura e sovrastato dallo stemma dei nuovi proprietari sopraggiunti nel 1700, i baroni d’Amely. Al di sopra dello stemma è posta una statua della Madonna Immacolata alla quale, probabilmente, la famiglia era particolarmente devota.

Alto 12,50 metro, si è conservato bene fino ad oggi, gli ambienti interni sono suddivisi in primo e secondo piano, ai quali si aggiunge una terrazza, le strutture di copertura sono a volta in muratura e riprendono, con delle varianti, la tecnica della copertura a botte utilizzata spesso negli edifici fortificati.

In cima si può notare un piccolo campanile, dovuto alla presenza di una cappella al piano terra affrescata con immagini del Cristo Crocifisso e di una Madonna col Bambino.

Nella sua ultima evoluzione, fino ad oggi, il palazzo è passato in mano alle Suore Povere Figlie delle Sacre Stimmate, punto di riferimento per molte famiglie a Melendugno che potevano inviare le proprie figlie per completare la loro educazione con la scuola di ricamo oppure i propri figli nell’asilo. Fu una donazione ad opera dell’ultima discendente d’Amelj.

4) Santuario di Maria Santissima delle Grazie di Roca Vecchia

La quarta tappa dell’Itinerario architettonico è rappresentata dal tempio intitolato alla Madonna di Roca, che fu impiantato nel tardo cinquecento sull’antico santuario semi-ipogeo già dedicato a Maria SS. Delle Grazie di Roca.

L’interno dell’edificio è a tre navate di uguale altezza con volte a crociera. Guardando a destra e sinistra potrete ammirare le due file di colonne, costruite con la tipica pietra leccese.

La facciata presenta una singolarità, in quanto prospetta su uno spiazzo ricavato (attorno al 1950) ad una quota inferiore rispetto alla superficie stradale. Questo ci fa capire che in origine il piano di calpestio dell’antica Roca era molto più basso. Il livello dove oggi sorge Roca è figlio delle sovrapposizioni di strutture abitative costruite dai colonizzatori nel corso dei secoli.

La costruzione del santuario è legata alla leggenda del ritrovamento di un’icona della Madonna. Si narra che un pastorello abbia rinvenuto il ritratto di una Madonna col Bambino (databile tra il IX e il XIV secolo) dipinto e tratteggiato su un sasso, nascosto verosimilmente dai rocani per risparmiarlo alla distruzione della città.

Il pastorello, all’insaputa dei suoi padroni, accendeva quotidianamente una lampada a olio a Maria Santissima di Roca Vecchia. Il segreto però non poté essere mantenuto per sempre e, poco dopo, l’icona venne scoperta dagli abitanti di Roca e la grotta divenne luogo di culto e meta di pellegrinaggi sempre più frequenti.

La venerazione della Madonna di Roca è confermata anche nell’Ottocento. Nei documenti storici si dà accenno ai flussi di devoti che, durante i sabati di maggio, affluiscono, portando le statue dei loro santi protettori sulla schiena o sul carro, dai vicini centri di Vernole, Calimera, Melendugno e Borgagne.

L’altare maggiore, risistemato alla fine del Seicento, presenta il dipinto della Vergine con il Bambino affiancato, su entrambi i lati, da due busti in pietra leccese raffiguranti Sant’Agata e Sant’Apollonia. Alle spalle dell’altare si aprono la sacrestia, costruita recentemente, e un’intercapedine che corre lungo i lati della chiesa. Quest’ultima, sul versante sinistro ha recuperato i resti di un ambiente ipogeo che, verosimilmente, fece parte dell’insediamento rupestre medievale ancora oggi visibile nell’insenatura che si trova attraversando la strada provinciale.

5) Roca Nuova: villaggio, castelletto e chiesa

Come quinta tappa il nostro itinerario prevede l’arrivo al villaggio di Roca Nuova. Nato nel Seicento a seguito del definitivo abbandono della città di Roca Vecchia, conserva scampoli di storia di un luogo vitale e importante, dal punto di vista sacro e civile, per secoli e secoli. Oggi raggiungibile dalla Strada Provinciale che collega Melendugno e Torre dell’Orso, Roca Nuova nella sua massima estensione confinava con l’Università di Acquarica di Lecce a nord, a est con il mare Adriatico, a sud con i comuni di Otranto, Carpignano Salentino e Borgagne e, infine, a ovest con l’università di Melendugno.

Il villaggio oggi conservato permette l’ammirazione del Castelletto e della Chiesa di San Vito.

Il Castelletto fu costruito sperimentando tecniche militari del Cinquecento. La natura inedita dell’iniziativa è confermata dai documenti di Belisario Acquaviva, figlio di Giulio Antonio Acquaviva, maestro architetto del giovane Gian Giacomo dell’Acaya, colui che divenne successivamente uno dei grandi architetti del Regno di Napoli durante il regno di Carlo V. Le “novità” apportate furono il fiancheggiamento e la difesa radente.

Dotato di due piani, il castello, usato per fini civili e militari, ha un perimetro di base a forma quadrangolare. Il complesso era circondato da un fossato all’occorrenza riempito d’acqua.

Il piano terra presenta delle fessure atte a sparare con gli archibugi e la porta oggi visibile dà sulla grande sala da pranzo. Le piccole sale dovevano essere adibite a posto di guardia e, percorrendo la scala, si trovano altre sale militari e le stanze dove soggiornavano i signorotti locali nel periodo estivo.

Il secondo piano era corredato dai camini, i quali servivano non solo per riscaldare le stanze ma erano finalizzati ad attizzare le micce della polvere per sparare. Lungo la muratura del castello, infine, si notano le finestre dove appaiono le caditoie da dove i soldati buttavano pietre, acqua e olio bollente contro gli eventuali invasori.

La Chiesa è un esempio di costruzione rurale, opera di maestranze locali. Un’iscrizione, custodita presso il municipio di Melendugno, testimonia la data di costruzione, 1589, incisa anche sull’architrave della porta originaria. L’iniziativa fa parte della nuova ventata di spiritualità seguita al Concilio Tridentino (1545) e spinta dai sacerdoti dei diversi ordini religiosi: Gesuiti, Teatini, Olivetani e Minori Osservanti.

Il Concilio di Trento sancì anche l’obbligo da parte delle parrocchie di tenere i registri di battezzati, cresimati, matrimoni e morti. L’antica autorevolezza della parrocchia di Roca Nuova era avvertita da tutto il clero del Regno di Napoli. Le visite del vescovo di Venosa mons. Andrea Perbenedetto (1627) e di Lecce mons. Luigi Pappacoda (1641), documentate negli archivi storici, non fecero altro che rafforzare il prestigio della chiesa rocana.

La chiesa matrice di Roca Nuova, dedicata a San Vito Martire,  fu inizialmente intitolata a Maria Santissima e al suo Bambino ma, dalle ricerche effettuate, si nota che la parte visibile oggi, indenne alla caligine, è soltanto quella assegnata a San Vito.

Leggi anche: i pellegrinaggi a San Vito in Roca Nuova nell’itinerario pellegrinaggi

L’interno è diviso in due vani, quello principale e l’altare. La statua del santo è posizionata nel primo ambiente; sulla sommità dell’altare, invece, San Vito è raffigurato con un cane. Questo singolare legame del santo è celebrato il 15 giugno, data in cui si compie la benedizione degli animali di cui il santo è protettore.

A sinistra della porta d’ingresso vi è un affresco dedicato alla Vergine di Roca “Mater Mia” collegato ad una vicina finestra ad occhio.

6) Case-torre Borgagne

La quinta tappa del nostro itinerario si ferma su un interessante esempio di tipologia abitativa di natura difensiva conservatasi a Borgagne: la casa torre.

All’incrocio di via Castello troviamo una casa-torre cinquecentesca, con colonna angolare. Aveva anche delle caditoie ma non si sono conservate tranne che nella corte attigua, la parte superiore è coronata da piccoli archi pensili che danno un grande valore decorativo, in alto sui due lati ci sono i monogrammi di Cristo e della Vergine entro due cornici.

Si può ammirare un altro esempio anche nella casa torre di via IV novembre, conosciuta in paese come “corte dell’Argallo”, perché un tempo era la casa di Don Cosma Vergallo.

Queste case sono state edificate secondo una linea di continuità con le case a corte, diffusissime in tutto il Salento. L’architettura della torre serviva a rafforzare la funzione protettiva e difensiva in seguito alla grande quantità di invasioni a cui era soggetto il territorio. Si poteva, infatti, avvistare il nemico in anticipo e utilizzare le caditoie per tentare di scacciarlo.

Questa grossa struttura faceva da barriera verso l’esterno e racchiudeva spazi abitativi nei quali si svolgeva la vita anche di sette o otto nuclei familiari, organizzati all’interno secondo la modalità tipica delle case a corte.

Interessante l’uso della colonna angolare che, per la sua posizione, aveva la funzione di indicare la strada verso i due luoghi più importanti per la comunità, da un lato il municipio e dall’altro la chiesa, potere civico e potere religioso.

Si conoscono altri due luoghi in cui sono presenti esempi di queste tipologie costruttive, nella città di Ragusa in Sicilia e in quella si Ragusa in Croazia.

7) Chiesa di Santa Maria Assunta: parrocchiale di Melendugno

Tra le stradine recentemente riqualificate di Melendugno nel cuore del centro storico, rivolta sull’ampio spazio quadrangolare di Piazza Monsignor Durante, è situata la chiesa madre della città dedicata a S. M. Assunta.

Questa chiesa e la piazza stessa hanno costituito un importante punto di riferimento sociale per le diverse generazioni di giovani che qui si sono incontrate e si sono formate: si affacciano su quest’area infatti l’oratorio, la sede dell’azione cattolica e il teatro parrocchiale, che con le loro rispettive attività, non solo religiose, hanno coinvolto e aggregato la cittadinanza contribuendo a rinsaldarne i legami e i valori di comunità.

Risalente al 1575, come dimostra la data di fine lavori incisa sull’antico portale di ingresso, è stata rimaneggiata dentro e fuori nei secoli successivi, tra seicento e settecento, come spesso è accaduto per tanti altri edifici religiosi del territorio, secondo una tendenza molto diffusa dell’epoca.

La sua facciata apparentemente semplice, completata nel 1774 come indica la targa sopra la finestra centrale, è delimitata ai lati da due semicolonne angolari ed è costituita da due ordini che possiedono elementi decorativi in pietra lasciata a vista mentre il resto delle “zone lisce” è intonacato di bianco.

Questo contrasto mette in evidenza i tre ingressi principali, incastonati tra pilastrini e travi decorate e infine separati tra loro da finte colonne che si innalzano per tutta l’altezza della facciata. La diversa dimensione dei portali, la posizione delle finestre e la linea delle volute in alto, seguono tutte un ritmo ascendente che riprende il motivo della Assunzione in cielo della Madonna a cui la chiesa è intitolata. Anche la statua che raffigura l’Assunta assume una posizione rivolta verso l’alto.

Racchiude perfettamente questa simbologia l’ultimo elemento esterno da segnalare: la torre del campanile. Costruita nel 1696, è a base quadrata e si compone di tre livelli con i due superiori che presentano un’apertura a volta su ogni lato, ognuna delle quali ospita una campana. Purtroppo la torre è rimasta incompiuta: era previsto almeno un altro piano, confermato dal fatto che ne erano stati innalzati i muri perimetrali.

All’interno la chiesa si compone di tre navate riccamente decorate, con quelle laterali aggiunte nel settecento e poi impreziosite da tre nicchie per lato dove si possono ammirare dipinti e altarini baroccheggianti. Nel XIX secolo poi sono state aggiunte anche delle cappelle votive, di cui una delle più importanti è l’ultima della navata destra dove è alloggiata, anzi custodita, la preziosa statua in legno dipinto del patrono di Melendugno, il veneratissimo San Niceta, rappresentato trionfante con una statua equestre che altrettanto trionfalmente viene trasportata in processione nella festa a lui dedicata il 15 e 16 Settembre.

Il culto di San Niceta nell’itinerario pellegrinaggi

Sono inoltre degni di nota i numerosi altari seicenteschi presenti, tra i quali spiccano quello dedicato alla Madonna del Rosario e l’altare della Natività, le cui pregevoli decorazioni trovano quella espressività e complessità che non si riescono a vedere sulla facciata esterna.

Altari: Vergine Addolorata (sx), San Marco (sx), Madonna del Rosario (sx), Sant’Antonio di Padova (sx), San G. Battista (dx), Madonna del Carmine (dx), Crocifisso e Natività.

In quasi tutti gli altari è infine inserita una tela dipinta, delle quali si segnala per importanza quella della Madonna del Carmine e quella settecentesca che raffigura Santa Teresa trasferita appositamente dalla residenza baronale della famiglia d’Amely.

8) Frantoio Sciurti a Borgagne

Il primo dato cronologico certo del Frantoio Sciurti è ascrivibile al 1745, quando Michele Sciurti d’Otranto, consultando gli archivi storici, risultava essere proprietario del comprensorio sito a Borgagne sulla via per Lecce.

Nell’Ottocento, poi, lo stesso immobile era registrato come frantoio e nel corso degli anni gli ambienti si sono sempre divisi in più proprietà finno ad arrivare, nel 1970, alla completa divisione finalizzata alla creazione di due frantoi indipendenti. Uno dei due venne chiuso subito, mentre l’altro, corredato dai macchinari che ancora si vedono oggi, funzionò per pochi anni.

Sul livello stradale sorge un cortile dove si possono notare i resti di un camino. Osservando la zona si noteranno anche, sul lato sinistro, dei granai e, di fronte, delle aperture che presuppongono la diversa destinazione d’uso dell’immobile nel corso degli anni.

Il Comune di Melendugno ha acquisito l’immobile nel 1988 (dopo un’iniziale provvedimento del 1983 per ottenere la proprietà di cortile e primo piano) e nel 1998 fu demolito il muro per riportare il frantoio ad un unico ambiente per arrivare poi, nel 2000, alla riqualificazione e restauro che ha permesso di riportare in luce i pozzetti di raccolta antistanti ai torchi alla genovese originariamente collocati in batteria lungo il muro occidentale del vecchio frantoio.

La struttura è posta ad un livello seminterrato di Palazzo Sciurti (2,00 m dal piano stradale) ed è accessibile da due scale ad unica rampa. La scala sud è recente ed è frutto della divisione del 1970, mentre quella a nord, con copertura a botte totalmente realizzata in muratura, costituisce l’accesso originario del frantoio più antico. A metà rampa vi è un ambiente-vano, che anticamente fungeva da vano di riposo per i frantoiani.

Leggi anche: i frantoiani, gli operai dell’antichità 

Alla fine della scala si arriva nell’ambiente principale del frantoio. L’ambiente ha forma rettangolare e i lavori di riqualificazione e restauro conservativo del frantoio semi-ipogeo hanno riportato in luce diversi pozzetti antistanti a dei torchi alla genovese che, anticamente, si disponevano in batteria lungo una linea centrale. Al centro del frantoio sono disposti i macchinari (motori e presse idrauliche) di cui il frantoio viene dotato durante il Novecento.

A destra vi è il deposito, accessibile attraversando un arco, dove si trovano nove vasche con copertura di volta. Questo locale è messo in comunicazione con il cortile tramite dei fori circolari, situati tra le volte, che permettevano di scaricare le olive dall’esterno direttamente nel frantoio. A est dell’ambiente principale c’è il magazzino con le grandi pile di pietra leccese per conservare l’olio.

A sud dell’ambiente principale, invece, si trova la vasca in pietra con le pietre mulari mossa dal motore elettrico. Il macchinario è posizionato nella stessa zona dell’antica vasca, circondata ancora dai segni del camminamento dei cavalli. Sempre a sud, passando per un altro arco, si trova l’ultimo grande ambiente con volte a botte dove si conservavano altri grandi recipienti.

9) Chiesa della Presentazione del Signore Borgagne

Situata nella principale piazza della località, è il principale punto d’incontro dei cittadini locali. Nota anche come Chiesa Parrocchiale, conserva dell’impianto originale,  soltanto la parte absidale. La consacrazione avvenne nel 1584. Il portale, prodotto della fattura neretina, conserva la data di costruzione, 1611.

La Chiesa sorge su Piazza Sant’Antonio, il centro del piccolo borgo. La piazza, ristrutturata nel 2012, ospita anche una fontana dove sono scolpite tre rane. Una sorpresa? Forse, più un ricordo. Fino agli anni Ottanta la zona di Borgagne era paludosa e i borgagnesi sentivano spesso gracchiare gli animali. Specificatamente, molti abitanti locali possedevano degli appezzamenti di terra nella zona paludosa delle Fontanelle, situata tra Borgagne e Serra degli Alimini. Questo fatto valse agli abitanti di Borgagne anche l’epiteto, folkoristicamente ingiurioso, di “ngracalati” (coloro che sentono continuamente gracchiare).

L’interno è a un’unica navata. Originariamente a travature lignee, la chiesa fu coperta a volta nel periodo tra il 1780 e il 1786, e presenta quattro altari, due per lato. Settecentesca è anche la dedica alla Presentazione del Signore; infatti, la chiesa è conosciuta anche come “Chiesa della Purificazione della Vergine di Borgagne”.

Nel retrospetto della facciata si possono ammirare due opere tardosettecentesche: la fonte battesimale a sinistra e la pila dell’acqua lustrale a destra. Questi abbellimenti, settecenteschi come gli altari, sono stati realizzati dall’artista Emanuele Orfano di Alessano.

Il primo altare sulla destra è quello del Crocifisso; il secondo è l’altare della Vergine del Rosario e dei Santi (1786). Sulla sommità di quest’altare, decorato anche di un ovale con i Martiri d’Otranto, è possibile ammirare una stupenda raffigurazione di Borgagne nella prima metà del Seicento. Dalle fonti, la tela risulterebbe ascrivibile al 1630 e la rappresentazione descrive il pellegrinaggio dei cittadini di Borgagne verso il santuario di Roca Nuova.

Percorrendo il sentiero sterrato che da Roca Vecchia porta a Torre dell’Orso si notano infatti i segni dei pellegrinaggi ascrivibili alla cittadina di Borgagne. Sul ciglio della strada si possono trovare delle piccole steli che segnavano il percorso dei devoti. A circa 500 metri da Roca Vecchia poi si una base con una targa che riporta una dedica al patrono Sant’Antonio.

Voglio ripercorrere l’antico sentiero dei pellegrinaggi a Roca 

Sul lato sinistro dell’ingresso si trovano rispettivamente gli altari settecenteschi di Sant’Antonio, decorato anche in alto con una tela raffigurante Sant’Oronzo, e dell’Immacolata. Quest’ultimo, costruito dal vecchio committente Carmine Pino, era inizialmente titolato a San Giuliano, come dimostra una lunga epigrafe del 1788.

10) Chiesa Santissima Immacolata di Melendugno (seicento)

La Chiesa dell’Immacolata è forse uno dei monumenti più pregiati di Melendugno, ed  è quella che, sia all’esterno che all’interno, rappresenta meglio la complessa espressività del barocco.

Inoltre riveste un’importanza non solo dal punto di vista della memoria storica ma anche da quello dell’aggregazione sociale, considerato che attorno a questo luogo di culto si è riunita una comunità di persone che dalla fine del seicento ad oggi tramanda le attività di una confraternita realizzata dai Padri Gesuiti. La confraternita dell’Immacolata infatti raccoglie intorno a sé molta partecipazione, coinvolgendo spesso l’intera cittadinanza nella sue iniziative e manifestazioni che si svolgono anche per le vie e nelle piazze del paese.

Costruita nella seconda metà del seicento, e recentemente restaurata nel 2012, ha un portale di ingresso impreziosito da una edicola sporgente sostenuta da una coppia di doppie colonne che ha pochi precedenti nel territorio comunale, con un esempio simile che si può ritrovare soltanto nella Chiesa della Presentazione del Signore di Borgagne.

La facciata è scandita da quattro nicchie che non ospitano più alcuna statua, e da finti pilastri in rilievo che riprendono lo stile della Chiesa matrice dell’Assunta e racchiudono ai lati le aree decorate del primo ordine, delimitato in alto da un importante cornicione.

Il secondo ordine è costituito da un frontone con volute ai fianchi e la cui sommità si chiude con una forma triangolare: in cima alla stessa è stata posizionata infine la statua della Madonna Immacolata.

La struttura presenta inoltre alcune fortificazioni nel piano superiore, infatti è dotata di un parapetto con una serie feritoie, con le quali potersi riparare e al contempo attaccare durante una eventuale aggressione nemica cui poteva essere soggetta la struttura, che al tempo della costruzione si trovava in una posizione defilata rispetto all’abitato.

All’interno della chiesa, ad una sola ma spaziosa navata, sono conservate alcune meraviglie barocche meritevoli di ammirazione anche dal visitatore meno appassionato. Una di queste è l’altare principale: è a parete e finemente decorato da bassorilievi con elementi naturalistici e figure votive; una serie di colonne lo suddividono in tre parti uguali, ognuna delle quali contiene una tela: in quelle ai lati sono raffigurate le sante che accompagnano la Madonna Immacolata cui è dedicata invece la tela centrale. A chiudere, in alto, uno spazio a volta che in occasione del restauro interno della chiesa è stato dipinto con un cielo stellato.

11) Chiesa Santi Medici – Cappella dell’Addolorata (settecento)

Nella zona periferica di Melendugno, in Via Roca, sulla strada che dal paese conduce sino al mare di Torre dell’Orso passando da Roca Nuova, è situata la piccola chiesetta dei Santi Medici, detta anche Cappella dell’Addolorata.

Al contrario di molte chiese del territorio, fondate in periodi medioevali e rinascimentali, e che poi specialmente nel barocco e nel settecento si sono ritrovate ad avere un rifacimento o delle aggiunte sull’impianto preesistente, questo edificio di culto è stato costruito invece direttamente nel settecento (1760) e ne presenta tutti gli elementi caratteristici.

La facciata, stretta ma luminosa, racchiude in poco spazio un sufficiente numero di decorazioni che le danno un tocco di piacevole eleganza. Un gioco di concavo e convesso si ripete in tutte le superfici (in tutti gli elementi) in rilievo, in particolare sul decoro in cima al portale di ingresso che racchiude uno stemma nobiliare. Il motivo si ripresenta poi sulla sommità della finestra centrale e infine viene ripreso, in grande, nel disegno della linea delle volute che completano la facciata in alto.

Una particolarità interessante di questa chiesa è che, come per quella dell’Immacolata, può essere ricondotta nell’insieme degli edifici religiosi fortificati. Infatti, poiché è stata costruita dove nel settecento passava il confine dell’abitato, costituiva un buon punto di osservazione (avvistamento) ma anche un luogo che poteva essere preso d’assalto. Per esigenze difensive quindi è stata adattata con l’aggiunta di elementi di fortificazione quali i piombatoi e le saettiere: i primi, sporgenti dai muri sopra ingressi e finestre laterali, per contrastare il nemico una volta avvicinatosi troppo; le seconde, inserite a copertura dei lati esposti, per respingere l’eventuale invasore tenendolo lontano dall’abitato.

L’interno della chiesa, al contrario di quello che si potrebbe pensare guardando l’edificio da fuori, è un ambiente veramente ristretto che permette di capire il motivo per cui è preferibile indicare questo luogo come una cappella. Infatti l’apparente ampiezza esterna è dovuta ad un successivo allargamento dell’impianto originario del 1808, quando le è stata affiancata la sacrestia. Una volta entrati, anziché ad una lunga navata, ci si troverà dunque davanti ad un altare votivo del 1763 intitolato alla Madonna Addolorata affiancato nelle nicchie laterali dalle statue dei Santi Medici, festeggiati nella relativa ricorrenza del 25 e 26 Settembre.