15 Settembre 2020

Il cavaliere venuto dall’Oriente: San Niceta il Goto

La commemorazione di San Niceta, che ricorre il 15 settembre, viene celebrata come festa del santo patrono in un unico luogo al mondo, Melendugno.

I melendugnesi sono particolarmente fieri di questo primato e hanno dedicato nei secoli al Santo una grande mole di effigi, chiese, altari, ex voto. Addirittura, la prima importante testimonianza della storia del luogo è un’abbazia basiliana, posta oggi accanto al cimitero comunale, che è nata proprio con la dedicazione a San Niceta, nel XII secolo d. C. La storia di Melendugno e quella di San Niceta erano insomma destinate ad intrecciarsi fin dalle origini di questo piccolo paese della terra d’Otranto.

Chi era Niceta il goto? Era un barbaro, cresciuto tra i Goti stanziati nella zona dell’attuale Romania. La sua storia si snoda pressappoco tra l’epoca dell’imperatore Costantino e quella di Valente, tra gli anni ’30 e gli anni ’70 del IV sec. Venne convinto alla conversione alla fede cristiana dal vescovo Teofilo, un alto prelato che aveva anche preso parte al Concilio di Nicea del 325. È un periodo cruciale per l’evoluzione del Cristianesimo: da poco erano terminate le persecuzioni da parte dagli imperatori romani e tra non molto la fede cristiana sarebbe stata acclamata come religione di stato. Intanto, però, presso la popolazione dei Goti, fuori dai confini dell’impero, in molti ancora erano pagani o, tutt’al più, avevano abbracciato l’eresia ariana; tra questi, il capo Atanarico decise di intraprendere una feroce persecuzione di coloro che si erano convertiti, soprattutto perché vedeva nell’espansione del Cattolicesimo un’ingerenza dell’imperatore Valente nei suoi territori. Fu durante questa persecuzione che perse la vita il cavaliere goto Niceta, ormai divenuto cristiano: nell’anno 370 Atanarico lo fece bruciare vivo insieme a tanti altri che avevano compiuto la stessa scelta. L’amico del Santo, Mariano, donò il corpo ancora miracolosamente intatto al vescovo di Mopsuestia (nell’attuale Turchia), perché fosse oggetto di venerazione pubblica. Oggi le spoglie sono custodite nella chiesa di San Nicolò dei Mendicoli a Venezia.

Nella chiesa orientale e in quella russa il culto di San Niceta si diffuse grandemente, e in tutta la Cristianità egli è commemorato come uno dei martiri che hanno portato la parola di Dio tra le genti barbariche, perdendo la vita in questa missione.

I melendugnesi ritraggono San Niceta come un cavaliere fiero e pio e la sua venerazione è legata anche ad un evento particolare: secondo la tradizione, il Santo avrebbe protetto la città dal terremoto del 1743, l’evento sismico più famoso del Salento, che provocò molti danni a Nardò e Brindisi. Melendugno venne risparmiata e, come i leccesi ringraziarono di ciò Sant’Oronzo, i melendugnesi imputarono la grazia al loro Santo cavaliere. Il culto divenne allora ancora più sentito: si decise di far arrivare una reliquia del Santo, il che avvenne nel 1882, quando fu traslato a Melendugno un braccio; inoltre, si diffuse l’usanza di accendere un grande falò il 16 di settembre, non il 15 come vorrebbe il calendario ecclesiastico, per non far coincidere la festività con quella della Madonna Addolorata. Anche il miracolo del 1743 viene ancora ricordato, con la ricorrenza del 28 gennaio, quando si invoca “San Niceta del terremoto”.

Da sempre i melendugnesi si affidano al Santo, come quando alcuni dei tanti giovani partiti dal paese per la Prima Guerra Mondiale scrissero i loro nomi su un cartiglio, che inserirono nell’ex voto a San Niceta presente nella chiesa matrice di Melendugno.

San Niceta e la sua vicenda mettono in comunicazione due mondi lontani eppure storicamente affini: un Santo dell’Europa dell’est, un cavaliere barbaro con un nome greco, convertito da un vescovo greco; un Santo venerato dalla Chiesa orientale e che arriva a Melendugno come titolare di un’abbazia bizantina. Lo scalpitare del cavallo di San Niceta è il suono di una stessa storia religiosa che si avverte dalle cupole di Bisanzio fino alle campagne del Salento.

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