Dal 1480 in poi: le ultime distruzioni di Roca Vecchia, che non è mai morta

La storia di Roca Vecchia non si conclude con la distruzione operata dai Turchi nel 1480. Seppur non raggiungerà mai i fasti delle epoche precedenti, la città continua a vivere ancora e a rivelarsi strategica soprattutto per scopi militari. Ma la fine, purtroppo, è soltanto rinviata…
Il feudo di Roca, subito dopo la guerra turco-salentina, venne acquistato nel 1496 dalla famiglia baronale Delli Falconi insieme al casale di Melendugno. Questa famiglia entrò in possesso della città a causa dello stato disastroso delle casse del Regno di Napoli dopo le sanguinose guerre perse contro Venezia e l’Impero Ottomano.
Il sovrano di Napoli Ferdinando I (conosciuto anche come Ferrante I), governante dell’epoca, è costretto a vendere dei possedimenti in Terra d’Otranto a dei baroni che ne fanno richiesta. Il governante di Roca è Raffaele Delli Falconi, consigliere del futuro re Federico I d’Aragona, succeduto a Ferdinando I nel 1494. L’acquisizione viene formalizzata proprio da Federico I il 7 febbraio 1497 a Castelnuovo di Napoli.
Il casato baronale Delli Falconi annovera comunque grandi condottieri del Regno di Napoli. Tra di loro c’è il fratello Antonio, morto sotto le mura di Otranto nel 1480 durante l’assedio e a capo di una guarnizione di 400 soldati, e Francesco, ambasciatore in Ungheria per conto di Re Ferrante.
Passata la minaccia turca, almeno quella ufficiale e “politica” visto che le scorribande sulle coste adriatiche salentine continueranno ancora per secoli, Roca viene fortificata dall’architetto militare Giulio Acquaviva, che ridisegna il castello tanto bene da convincere Re Ferrante a proclamare nel 1496 Roca città autonoma dal demanio di Lecce. Le novità militari apportate sono il fiancheggiamento e la difesa radente. I confini della città, circondata da un enorme foresta, terminano ai Laghi Alimini e partono da San Giovanni in Mare.
Più tardi la proprietà di Roca passa alla famiglia dei Paladini, già baroni di Melendugno.
Il Cinquecento in Italia è caratterizzato dal regno di Carlo V, divenuto monarca anche del Regno di Napoli dopo l’incoronazione di Aquisgrana del 1520. L’apparente pace è però interrotta dalla quarta guerra franco-spagnola (1521-1526), nota anche come guerra dei quattro anni, che coinvolge anche il Meridione d’Italia e il Salento.
Il conflitto si combatté anche nel Regno di Napoli: il re di Francia Francesco I, sostenuto da Venezia, manda il generale Lautrech, già impiegato in Lombardia, alla conquista del Regno di Napoli. Lo Stato Pontificio, spaventato dal potere spagnolo, si schiera con la Francia e Carlo V prontamente risponde e mette in scacco Roma. L’aggressione iberica al potere religioso spinge tutta Europa a difesa del Papa. La guerra assume così connotati continentali.
Nel Salento si formano coalizioni filospagnole e filofrancesi. Quest’ultime conquistano Lecce guidate da Gabriele Barone, un nobile leccese. Una congiura interna, e la perdita degli alleati albanesi-veneziani, fa perdere la città di Lecce a Barone, sconfitto dalle truppe coordinate, tra gli altri, da Sigismondo Castromediano. In città si avverte l’odio per i francesi e l’entrata delle truppe filospagnole è salutata al grido di “viva l’imperatore e morte ai francesi”.
A questo punto Roca entra prorompente e diviene importante nelle sorti salentine della guerra. Il Barone ripiega a Roca e beneficia delle sue strutture difensive, ricostruite da Alfredo D’Aragona. Ai tempi (1522-1528) la città è fortificata, resistente agli assedi ed è quindi giocoforza punto di scontro tra le fazioni filofrancesi e filospagnole. Barone si arrocca nel castello di Roca e si avvale anche delle masserie fortificate ubicate nelle vicinanze: San Basilio, Incioli (all’incirca a San Foca), Sentinella (a Torre dell’Orso), Barone di Muro (nell’odierna Sant’Andrea, dove oggi sorge il villaggio turistico Barone di Mare).
La battaglia campale del conflitto in terra salentina avviene nel 1528 quando il Barone, già rifugiato nel castello di Roca, viene sconfitto dalle forze spagnole. La città si trova così, per l’ennesima volta nella sua storia millenaria, in una guerra che i rocani di certo non hanno voluto e dalla quale non ricavano interessi. La morte e la devastazione riempiono ancora le vie di Roca. I cittadini si trovano di fatto tra i fuochi di due fazioni che combattono nelle strade e fuori le mura.
Roca, capitolata, è una delle città che subiscono più danni per la bramosia dei potenti. Ma perché tutto quest’interesse ripetuto per il centro? La ricchezza economico-commerciale-culturale e la posizione strategica sul mare le conferiscono il ruolo di Porta d’Europa, importantissimo avamposto per ogni mira espansionistica nel Salento.
Purtroppo Roca, dopo questa distruzione, vedrà un inesorabile declino.
Molti di coloro che erano tornati dopo il primo esilio forzato del 1480, nel 1528 lasciano ancora la città e popolano i casali limitrofi. Il re di Napoli e il vescovo di Lecce provano un’ulteriore volta a ripopolare Roca offrendo case ai rocani superstiti disposti a tornare.
Non passano neanche due anni e Roca, seppur quasi totalmente distrutta, è ancora teatro di un conflitto tra il Khayr al-Din Barbarossa, pirata turco e uno degli ammiragli più fregiati della flotta ottomana, interessato alla città di Castro, e la popolazione locale. Ancora una volta Roca Vecchia e il suo castello sono un quartier generale ottomano. La situazione diventa pericolosa per il Salento: le rovine della città e il porto sono un facile approdo delle frequenti incursioni turche, che trovano Roca come un sicuro asilo per perpetrare continui attacchi al territorio vicino.
Secondo quanto si legge nell’opera di Girolamo Marciano, un importante studioso salentino vissuto tra la fine del XVI secolo e l’inizio del XVII secolo (quindi a poca distanza temporale degli ultimi eventi che hanno interessato la storia della città), la decisione più dolorosa per Roca arriva nel 1544, a sedici anni dalla guerra del 1528. A seguito dell’autorizzazione di Carlo V, il presidente della provincia di Terra d’Otranto, don Ferrante Loffredo, fa radere al suolo la città, togliendo così ai turchi la possibilità di usarla come punto di sbarco. Roca, macchiata anche di “francesismo” durante la guerra franco-spagnola, doveva essere cancellata per sempre. In realtà, la documentazione presente nell’Archivo General de Simancas attesta la presenza di un contingente militare a Roca negli anni ’50 del XVI secolo, il che significa che non si può ancora definire con certezza il periodo in cui la città viene completamente abbandonata. Certo è che nella seconda metà del Cinquecento, in contemporanea con il declino di Roca Vecchia, sorge più nell’interno un altro piccolo villaggio, Roca Nuova. Questo borgo fortificato, insieme con le torri della costa, le masserie e i castelli dell’entroterra, viene a far parte di una nuova strategia difensiva del Regno di Napoli: affidare alle torri costiere la funzione di avvistamento e ai centri fortificati, tra Lecce e la costa, una linea difensiva a protezione del capoluogo.
È bello però pensare che Roca non sia mai morta, e che l’intento dell’epoca di spazzare via ogni residuo sia fallito anche perché ancora oggi possiamo ammirare i resti e, chiudendo gli occhi, immaginare i tumulti che si vivevano in quella zona per secoli. Fino al Novecento le bellezze di Roca sono coperte da cumuli di macerie che l’azione del mare distrugge e modella.
Roca non muore mai anche perché l’immenso bagaglio plurimillenario storico, letterario, religioso che ruota attorno al sito ha costruito la cultura di una popolazione, stretta già dal XVI secolo alla venerazione di Maria Santissima delle Grazie di Roca Vecchia.
Gli ultimi duecento anni segnano anche la nascita della Roca moderna, Roca Li Posti. Diverse famiglie perlopiù provenienti dalla cittadina di Calimera costruiscono lì la loro residenza estiva e rompono il silenzio di una città che tutti noi siamo obbligati a preservare per poter recuperare la nostra storia e la nostra identità.
Walter
Non so se questo commento verrà considerato, ma potrà essere utile a correggere quanto in parte scritto in questo paragrafo su Roca Vecchia. Mi dispiace ma non sono d’accordo assolutamente con la conclusione fatta dall’autore di questo articolo circa la scomparsa e la distruzione di Roca Vecchia e la nascita di Roca Nuova. Basta leggere a tal riguardo la pubblicazione di Donato Giancarlo De Pascalis (Una città di fondazione tra XIII e XIV secolo: il caso di Roca in Terra d’Otranto) e “Terra Roce. Roca Nuova, storia di un passato ritrovato”. Abbiate la voglia di provvedere.
Comune_Melendugno
Gentile Walter la ringraziamo per la sua indicazione e per i riferimenti bibliografici, a noi già noti. Provvederemo ad apportare delle modifiche qualora lo ritenessimo necessario.