Come selezionare il pesce: vita da pescatore.

Il territorio marino di San Foca, ricchissimo di qualsiasi specie ittica, è stato da sempre oggetto di attività di pesca. La vita quotidiana della marineria era infatti scandita dai tempi e dagli orari della pesca, motore della storica località.
Il pescato era così selezionato nel seguente modo:
a) Malepisci: così erano chiamati i pesci di poco valore commerciale per l’epoca, come le ricciole, i ricci, i ranseoli (in dialetto ranciculi), le cicale, le cozze e le cozze penne, specialità che avevano la caratteristica di avere la punta infissa nella sabbia mentre la parte superiore affiorava dalla superficie del mare.
Tra i malepisci dell’epoca rientravano anche specie che oggi sono invece considerate tra le più apprezzate, facenti parte del cosiddetto pesce azzurro. I seguenti erano tutti pesci considerati “poveri” e adoperati per sfamare la famiglia. Acciughe, cefali, rascie, polpi (in dialetto purpi), vope (vernacolmente dette ope, masculari se di grosse dimensioni). Stessa storia riguardava la razza affine alle precedenti, detta spicaluri, e i pesci detti scangi di piccole dimensioni (lucerne, triglie, scorfani, tremoli, occhiate, ronghi e sarpe).
b) Bonipisci: i pesci dall’ottimo valore commerciale sono: le spigole o branzini, le seppie, le murene, i dentici, gli sgotti e le cernie. Questi prodotti provengono dalla pesca d’altura. Storicamente, oltre alla vendita all’ingrosso e al dettaglio, questi pesci hanno imbandito le mense dei baroni di Melendugno o di altre nobili famiglie salentine.
I pescatori adoperavano, e talvolta adoperano tuttora, alcuni strumenti caratteristici della pesca, spesso noti con delle parole in vernacolo melendugnese.
Un capitolo a parte meritano le bilance usate per pesare il pescato.
Lo strumento più utilizzato era noto dialettalmente come iddhranzia. Un’asse di legno faceva la leva tra due bracci uguali; all’estremità vi erano due piatti di vimini (cisti) o di rame. Uno era più grande: lì si poneva la merce da pesare. L’altro piatto, più piccolo, era destinato ai pesi.
Vi era poi la stadera, lemma variato dialettalmente nelle due varianti statera o statila. S’indicava con questi termini la bilancia a bracci di leva disuguali, con un solo piatto e un peso costante che scorre sul braccio più lungo, il quale è graduato.
Dalla prima metà del XX secolo si cominciò a vedere anche a Melendugno la bilancia romana detta in dialetto bascula. Il funzionamento era simile a quello della stadera, ma lavorava su grandi dimensioni.