Antichi mestieri del Salento: il Pescatore

Storicamente contrapposti ai contadini, in antichità i pescatori erano le stesse persone, divise tra la fatica e la costanza del lavoro in campagna e le sfide giornaliere che la vita e il mare nascondeva ogni giorno a poche miglia dallo storico porto di San Foca…
Il mestiere di pescatore si svolgeva sopratutto in primavera e in estate, quando le condizioni del tempo lo permettono e specialmente quando a San Foca non soffia il vento di tramontana. La pericolosità del mare Adriatico nel periodo invernale spesso induceva ad abbandonare temporaneamente il mestiere. Nei periodi invernali i pescatori si trasformavano in contadini, manovali edili, fabbri e frantoiani.
Le giornate dei pescatori cominciavano prima dell’alba e, oltre alle insidie del meteo e del mare, le lunghe camminate dai paesi di provenienza (perlopiù Melendugno e Borgagne) precedevano le uscite. Soltanto in pochi infatti potevano permettersi i carretti trainati da cavalli o asini.
La figura del pescatore in epoca antica era spesso alle dipendenze dei signori locali. Alcuni atti del Settecento evidenziano infatti che il sostentamento dei marinai, alle dipendenze per assicurare del buon cibo, spettava ai baroni locali.
Come si selezionava il pescato? Apprendi le tradizioni della marineria melendugnese
La pesca praticata, nota nelle varie tecniche con termini dialettali, nelle marine melendugnesi, di solito, non si spingeva a battute d’altura (eccezion fatta per la camascia, operata con tre giorni di lavoro quasi in acque internazionali) -link-. Si decideva quindi soltanto il giorno prima se uscire o no, e per operare la scelta spesso si provavano ad interpretare i movimenti e le sfumature del sole e della luna, e se qualche nuvola lasciava presagire qualche cambiamento di tempo.
I pescatori sanfochesi possedevano infatti delle piccole barche della lunghezza di 6-7 metri, non rifinite e soggette alle frequenti riparazioni operate dai mastri costruttori di carretti agricoli, in dialetto “mesci”.
La barca: molto più di uno strumento di lavoro. Voglio saperne di più [coming soon]
Le barche presenti a San Foca sono dotate generalmente di quattro remi e spesso sono provviste di una vela adattata, detta alla greca. Ci voleva esperienza per approntare la vela alla greca su una normale barca. Chi era esperto sapeva il preciso punto d’installazione della vela, posta secondo regole ben precise, altrimenti la barca può anche affondare o addirittura capovolgersi.
Con il passare degli anni il mestiere del pescatore si è “professionalizzato” e l’attività marinaresca era l’unica fonte di sostegno dell’intera famiglia. Chi con la pesca è diventato agiato usava fregiarsi l’entrata della propria casa a corte con il simbolo del pesce, per indicare a maggior ragione che in quella abitazione abita un pescatore e che vende prodotti ittici. Spesso i pescatori agiati si dotavano di barche dalla lunghezza di 15 metri circa, dotate di motore a scoppio già dalla seconda metà del XX secolo.
L’altra faccia della “professionalizzazione” della marineria di San Foca era la forzata costrizione ad uscire quasi con qualunque condizione meteomarina, sfidando eventualmente anche il mare in tempersta e mettendo a repentaglio la via.
I pescatori più anziani ricorderanno con orgoglio il calore e la sincerità che in passato c’era attorno ad ogni uscita in mare. Le mogli raccomandavano ai mariti e ai figli di stare attenti ad ogni insidia e, spesso, sistemavano con cura sulla barca il santino di San Foca o del loro Santo protettore.
Un classico proverbio marinaresco ha anche la sua declinazione melendugnese: “Se oi cu ‘bbiti lu Marinaru veru, l’hai ‘bbitire navigare contru chientu” ossia “se vuoi vedere il marinaio vero, lo devi vedere navigare contro vento”.
Spesso distanziati da competizioni e invidie, i pescatori sono solidali quando ci si incontra in mare. Il soccorso e la salvaguardia della vita umana, anche a colui che a terra è il peggior nemico, è il primo comandamento del codice marinaresco.
I pescatori vivono uno speciale legame con i loro attrezzi, depositati ancora ora nelle grotte di San Foca. Un segreto per una buona pesca è la giusta conservazione e tintura delle reti, effettuate nella volgarmente nota stisa.
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Le reti erano confezionate con il cotone per non farle marcire e, nel periodo in cui non venivano usate, venivano cosparse con una tintura conservante ricavata dalla corteccia dell’albero di pino silvestre. La tintura era chiamata ‘zzappinu.
La stisa si faceva nei mesi di settembre e ottobre. I marinai collocavano vicino alla torre alcuni scranni di legno messi in fila, sui quali aprivano le reti che lasciavano esposte al sole ad asciugare per una o due giornate. Durante i giorni di stisa le reti erano esaminate con cura e rammendate con ago e filo in caso di rottura.
Ogni marinaio che si rispetti possedeva e depositava il tutto nella grotta (crutta) scavata nella roccia.In realtà di proprietà del pubblico demanio, la grotta diveniva di proprietà della famiglia del marinaio e tale proprietà veniva tramandata di padre in figlio, il tutto con il tacito assenso delle amministrazioni. Oggi le stesse vengono assegnate annualmente ai pescatori professionisti.
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