Antichi mestieri del Salento: il Fornaio

Quello che oggi è un termine usato quasi come sinonimo di panettiere, in antichità non aveva nulla in comune con la quotidianità degli anni passati. Oggi preparazione e cottura del pane sono curate da una sola figura professionale. Prima non era così.
Soltanto la collaborazione continua tra fornaio e panettiere faceva uscire ogni giorno del buon pane.
Per chiarire ogni equivoco: Il fornaio era colui che governava il forno, mentre il panettiere intrideva la farina e lavorava l’impasto fino a formare varie pezzature e qualità di pane.
Il pane per il fabbisogno interno veniva preparato in famiglia. “li signuri” (i signori, i ricchi) avevano un proprio forno, di piccole dimensioni, per uso domestico; la maggior parte della gente, però, utilizzava i forni che li furnari mettevano a disposizione, a pagamento, spesso effettuato in natura: in genere accettavano delle panelle, che poi il fornaio rivendeva, oppure della legna.
La giornata di lavoro del fornaio iniziava molto presto. Prima di tutto, caricava il forno con delle fascine di ulivo, la ramaglia risultante dalla potatura, che bruciavano rapidamente. La combustione riscaldava il piano e le pareti in mattone del forno, costruito a cupola, rendendolo pronto all’uso.
Una volta messa in un angolo la brace, si infornava il tutto. La prima ‘nfurnata dava frise e pucce (panelle) introdotte ed adagiate nel forno con una pala.
Per permettere il buon funzionamento del forno, sopra la cupola veniva messo uno spesso strato di sabbia che impediva un rapido raffreddamento, mantenendo, per lungo tempo, il calore anche quando non c’era più il fuoco.
Una volta infornate le pietanze, uno sportellino di metallo sigillato con malta permetteva la cottura ottimale delle pagnotte.
Si è detto che le famiglie melendugnesi, dedite principalmente alla campagna e a lavori stagionali, preparavano il pane in casa. Ma quali erano i segreti dell’impasto dellu “pane fattu ‘ccasa”?
Le massaie, già di buon’ora, sistemavano sulla “mattra” (madia) la farina di grano, sistemata a forma di mucchio. Sulla sommità si apriva un foro dove, assieme a lievito e sale, si versava una quantità di acqua tiepida pari al peso della farina.
Il lavoro più faticoso era quello dello “scanare”, ossia lavorare la pasta con le mani fino a renderla più compatta e mano umida. Il composto veniva energicamente schiacciato con i pugni, allargato, poi riunito, girato e rigirato numerose volte.
Una volta uniformato l’impasto, la massaia ne staccava un bel pezzo e dava la forma del panetto, sistemato poi su delle tavole protette con coperte di lana per permettere un’ottima lievitazione.
I panetti venivano ritirati “dallu furnaru” che passava con il carretto nelle prime ore del mattino.
Nonostante la generale povertà della comunità antica, destinata a vivere perlopiù di stenti, il pane sulle tavole non mancava mai.