Antichi mestieri del Salento: il calzolaio

Un’attività umile, ma imprescindibile nella società antica e capace di soddisfare le esigenze di più famiglie nonostante la sua natura spesso secondaria rispetto a quello che oggi sarebbe “un primo lavoro”.
Il calzolaio, mestiere che resiste ancora oggi nelle piccole realtà (Melendugno non fa eccezione), anticamente era considerato come una seconda attività per arrotondare e assicurarsi una comoda entrata in più nelle casse familiari. Solitamente erano i barbieri ad occuparsi di riparazioni di calzature.
Avere un bel paio di scarpe nuove o ben risuolate era per tanti, sino a qualche decennio fa, un vero e proprio lusso e lu scarparu era un artigiano molto apprezzato che svolgeva spesso il lavoro direttamente a domicilio. I più quotati poi potevano contare sulla loro bottega dall’inconfondibile odore di pellami e colla.
Le scarpe nuove erano un lusso raro e le vecchie venivano perciò mantenute in vita per lungo tempo a forza di risolature, di ricuciture, e di rattoppi d’ogni genere che interessavano non solo la suola, ma anche la tomaia. Mancando la possibilità economica di cambiare modello ogniqualvolta lo imponeva la moda o la stagione, la gente si trovava costretta a ricorrere a questo professionista per le riparazioni necessarie.
Nei borghi si era soliti dire distinguere le scarpe “della festa”, leggere e fini rispetto agli scarponi da lavoro. Le prime si acquistavano nelle calzolerie di città, mentre per il confezionamento degli scarponi si chiamava lo specialista del paese.
In prima istanza bisogna fare una distinzione che spesso ha creato non poche diatribe tra gli addetti ai lavori.
Il maestro-calzolaio, capace di produrre un paio di scarpe eleganti su misura, si distingueva dal ciabattino, che si limitava invece a riparare alla buona le vecchie scarpe prima che diventassero inservibili a causa dell’usura.
L’incrocio con la società tipicamente agricola dava origine a singolari avvenimenti: spesso il ciabattino era assoldato in affitto dalle famiglie di contadini e il pagamento avveniva con olio, grano, vino e formaggio. Questa consuetudine caratterizzava l’operato del ciabattino a stagione.
La giornata di lavoro cominciava la mattina presto. Indossata la canonica pettorina blu a protezione degli abiti, lu scarparu si posizionava vicino al focolare e eseguiva i suoi compiti. Se si dovevano confezionare delle scarpe nuove si prendevano le misure per poi riportarle su un cartone e ritagliare tomaie e suole. La confezione di un paio di scarpe richiedeva tra le sette e le otto ore a seconda se erano per donna, uomo o bambino.
Oggi di maestri calzolai, capaci di lavorare delle scarpe su misura non esistono quasi più perché, dato il tempo necessario per produrre un paio di scarpe eleganti, queste ultime verrebbero a costare molto di più che quelle prodotte con tecniche industriali.
Dall’altra parte, resiste l’artigianato della riparazione, anche se è scomparso il vecchio dischetto che è stato sostituito da macchine moderne, che consentono all’artigiano di riparare le scarpe in poco meno di mezz’ora.
Quella che era un’attività che richiedeva del tempo è diventata una formalità: il lavoro poteva essere eseguito in meno di mezz’ora, magari alla presenza del cliente che ridurrà al minimo la sua attesa.